Operazione “Vento dell’Est”, la Finanza scopre una frode da 114 milioni di euro
L’attenzione ai fenomeni evasivi da parte del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ascoli ancor più elevati a seguito dell’attuale congiuntura economica che il Paese attraversa, ha consentito di scoprire una frode fiscale internazionale, posta in essere da un noto brand operante nel settore calzaturiero marchigiano, con l’obiettivo primario di diminuire il carico fiscale nazionale sfruttando le legislazioni estere più favorevoli.
Costituire un’attività economica in Romania allo scopo di canalizzare i flussi commerciali di un’impresa italiana e quindi sottrarre reddito al fisco, è un sistema adottato in particolare dalle medie compagnie che, a differenza dei piccoli artigiani e dei commercianti al minuto, non possono evadere le imposte con sistemi più classici come l’omesso rilascio dello scontrino o della ricevuta.
Il cd. fenomeno della “esterovestizione” societaria nasce dalla prassi, in uso presso numerose realtà imprenditoriali, di collocare una o più società, riconducibili allo stesso soggetto economico, al di fuori del territorio nazionale, con il principale intento di usufruire di forme agevolate di tassazione; la questione, però, diviene fiscalmente rilevante nell’ipotesi, in concreto piuttosto frequente, in cui la ditta costituita all’estero sia, di fatto, amministrata in Italia.
“Vento dall’Est” è il nome dell’operazione scaturita da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una azienda
picena, che ha fatto emergere una complessa ragnatela di società, anche di diritto rumeno, di fatto amministrate e
riconducibili ad un nucleo familiare residente in un comune del fermano, che intrattenevano rapporti
commerciali tra loro.
Le complesse indagini di polizia economico-finanziaria, eseguite anche con l’ausilio del Comando Generale – II Reparto del Corpo in merito ai rapporti di mutua assistenza amministrativa con il corrispondente Organo Collaterale Estero, hanno permesso di scoprire una casistica davvero insidiosa, utilizzata per realizzare fenomeni di evasione fiscale internazionale.
La società che si occupava del ciclo produttivo della calzatura, mediante l’interposizione di una Fondazione non avente scopo di lucro, era stata simulatamente delocalizzata in Romania al solo fine di sfruttare illecitamente i vantaggi derivanti dal minor costo della mano d’opera e della minore tassazione applicata in quello Stato, in violazione delle vigenti norme nazionali e internazionali in materia fiscale.
Grazie a mirate analisi di rischio e all’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche per la tracciabilità e il controllo delle transazioni, i finanzieri hanno evidenziato una serie di indizi gravi, precisi e concordanti a comprova del fatto che la società straniera era gestita, sotto il profilo contabile, finanziario e decisionale dall’Italia.
Infatti, “l’influenza dominante” sull’azienda rumena si è concretizzata con l’assenza di una propria autonoma struttura decisionale, attraverso la redazione di contratti ad hoc con le imprese italiane e flussi finanziari limitati ad alimentare le strette necessità aziendali nonché con una pianificata emissione di fatture, anche allo scopo di “aggiustare” la situazione economico-patrimoniale della società italiana.
In definitiva, attraverso dei veri e propri “schermi” giuridici, dall’Italia era gestita tutta la fabbricazione e la vendita delle calzature da parte della ditta straniera, motivo per cui i redditi conseguiti dovevano essere sottoposti ad imposta in Italia, stato di “direzione” e non, come è accaduto, in quello di “produzione”.
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