«Nessuno è davvero solo in questo momento.» Il racconto di Don Francesco, cappellano del “Mazzoni”

ASCOLI PICENO – Trovarsi a dover lottare per la propria salute non è mai semplice. In questo momento – dove i contatti ravvicinati sono vietati –  essere ricoverati diventa ancora più, umanamente, provante. Abbiamo raggiunto il cappellano del nosocomio ascolano, Don Francesco Simeone, e gli abbiamo chiesto di raccontarsi.

Lei è ascolano? Da quanto tempo è cappellano del “Mazzoni”?

«Io sono di Martina Franca (TA). Questo è il terzo anno per me nel territorio ascolano. Sono venuto qui per l’emergenza del terremoto. Sono ufficialmente cappellano dal 1 Gennaio 2020, ma avevo iniziato ad esser coinvolto già dagli inizi di Novembre.»

Ha avuto, seppur il riferimento per la zona sia il “Madonna del Soccorso”, la possibilità di imbattersi in pazienti Covid-19?

«Personalmente di pazienti sintomatici Covid-19 non ne ho incontrati. Come lei ha detto: la struttura sanitaria dedicata a loro è l’ospedale di San Benedetto del Tronto.

Diciamo che in corsia stiamo vivendo come se tutti fossimo positivi al Coronavirus. Sto utilizzando tutti i presidi di sicurezza, e sto seguendo tutte le regole che il Ministero e l’ospedale hanno diffuso. Abbiamo anche avuto due casi di positività tra i dipendenti del CUP.

Nonostante ci sia tanta sofferenza e tanta difficoltà, la Grazia di Dio si fa’ vedere. Coi miei occhi vedo delle situazioni di disperazione che, attraverso il conforto, si rilluminano. Ci sono delle persone che non smettono di ringraziare dopo aver detto con loro solamente una preghiera.

Io, attualmente, sto amministrando prevalentemente il sacramento della Riconciliazione, non potendomi avvicinare ai letti per dare la Comunione. L’unica eccezione che faccio – nell’avvicinarsi al capezzale dei pazienti, ndr – è quando devo amministrare l’Unzione degli infermi.  Naturalmente utilizzo anche qui tutte le accortezze possibili e gli abiti che ho utilizzato vengono immediatamente distrutti. L’Eucarestia la sto celebrando da solo.

L’altra attività che sto svolgendo in maniera preponderante la ricopro all’obitorio. In questo momento si sta continuando a morire di altro, non solo di Covid. Ogni giorno transitano almeno sei-sette salme lì.

I parenti stanno vivendo un momento difficilissimo. Vedono entrare in reparto il loro familiare vivo, e poi vengono a sapere che è deceduto. Il tutto avviene senza aver avuto la possibilità di essergli stati vicino. Hanno a disposizione solo due minuti di tempo prima della chiusura della bara. 

Spesso sono disperati nel pensare che il proprio parente sia morto da solo. A loro dico che nessuno muore da solo. Dove ci fermiamo noi, dall’altra parte continua e fa’ il massimo Cristo. Io sono convintissimo che il Signore sia vicino a tutti, a tutti gli ammalati o i morenti. Questo da’ speranza ai parenti e delle motivazioni in più per continuare a credere.»

C’è un paziente che l’ha colpita particolarmente o ha un’esperienza che ci tiene a condividere?

«Qualche giorno fa’ è accaduto che mi ha chiamato un medico di Ortopedia. Voleva segnalarmi l’assenza di crocifissi in reparto. Una paziente, mentre stavo recandomi lì per il motivo sopracitato, mi ha chiamato dalla sua stanza. Chiedeva che mi avvicinassi. Dopo averle detto che non potevo, lei per due volte mi ha pregato di ascoltarla. Dalla porta così è iniziata una conversazione.

Lei voleva essere confessata. La premura era quella di salvare il sigillo sacramentale – i peccati non possono esser ascoltati se non dal confessore, ndr -, visto che nella stanza c’erano altre due pazienti. Le ho chiesto così di rivolgersi direttamente a Dio, senza parlare.  Abbiamo detto una preghiera insieme, dopo che mi aveva fatto un cenno per segnalarmi di aver terminato, e le ho dato l’assoluzione. La signora subito dopo si è “sgonfiata” ed ha tirato un sospiro di sollievo. Quasi immediatamente anche le altre due hanno espresso lo stesso desiderio…

Ritornando continuamente con la memoria su questo episodio, ho cercato un contatto con la direttrice Sansoni.
Le ho raccontanto tutto, chiedendo se questa modalità poteva essere estesa anche agli altri. 
Lei mi ha dato il suo assenso – circa questa possibilità con queste nuove modalità, ndr – poichè il Signore sa’ leggere nei cuori e vede i peccati.

Per me è un abuso quando si vieta ad una persona il conforto religioso. Questa per me è una cosa necessaria, tanto quanto le cure mediche. Il disagio dell’uomo non è risolvibile solamente con la scienza, non siamo solamente un ammasso di cellule. L’uomo deve essere curato nella sua integrità

In chiusura, secondo lei, di cosa c’è bisogno prima di tutto in questo preciso momento?

«Questo è un periodo di grande riflessione sulla vita. Tutti lo stiamo facendo, per tutti intendo anche gli agnostici, gli atei, i miscredenti… Spero che lo stiamo facendo, mettendo al centro le relazioni. Per me c’è bisogno di recuperare le relazioni umane. Questa è una emergenza che sta vivendo tutto il mondo. Non è più la sola emergenza dei clandestini, degli extracomunitari, di coloro che sono padroni della terra, dei poveri, dei ricchi…
In questo momento l’umanità si sta scoprendo uguale. Se ciò che avevamo a disposizione non ci ha condotto a capirlo, ora lo sta facendo il Covid. Guardandoci negli occhi possiamo capirlo perché tutti siamo sofferenti in questa circostanza. Mi auguro perciò che tutto questo ci migliori sotto questo particolare.»

 

 

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