Maxi truffa ai risparmiatori. Sequestrati beni per 4 milioni di euro e denunciate 10 persone
Contrastare le forme di illegalità che minano il corretto funzionamento dell’economia legale, alterando le regole di libera concorrenza del mercato; garantire le condizioni che consentono una corretta allocazione del risparmio ed un adeguato presidio dei circuiti di finanziamento alternativi al sistema bancario.
Queste le principali prerogative attraverso le quali la Guardia di Finanza assicura la diuturna azione a tutela dell’economia e che hanno portato il Comando Provinciale di Ascoli Piceno, coordinato dalla locale Procura della Repubblica, ad indagare su 9 società, 4 italiane a Roma, Catania, Ascoli e San Benedetto e 5 estere (operanti negli Stati Uniti, nella Repubblica Dominicana, in Nuova Zelanda e in Austria).
Truffa e abusivismo finanziario le fattispecie sin ora individuate, ascritte a diverso titolo, in capo a 10 persone, residenti in distinte località dell’Italia; si parte dal piceno (Ascoli, Castel di Lama, San Benedetto e Monteprandone) per arrivare a Bolzano, Roma, Tivoli (RM), Guidonia Montecelio (RM), Palma di Montechiaro (AG) e Orvieto (TR).
Soggetti per lo più amministratori delle predette società, operanti in diversi ambiti, dalla consulenza per la gestione della logistica aziendale e altre attività professionali a quella del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, in una serie di operazioni che, alla fine delle indagini, hanno disvelato una maxi truffa in danno di un centinaio di risparmiatori.
Una raccolta abusiva di denaro eseguita in assenza di iscrizioni, abilitazioni o autorizzazioni delle Autorità del settore e quantificata in circa 26,5 milioni di euro, di cui solamente poco più del 50%, come emerso dalle analisi dei flussi finanziari, rimborsati attraverso la simulazione di una parte dei rendimenti di spettanza.
È a gennaio del 2020 che la Procura della Repubblica di Ascoli Piceno e le Fiamme Gialle del Nucleo Polizia Economico-Finanziaria di Ascoli Piceno chiudono il primo step di quest’indagine, incentrata verso il sodalizio criminale che, attraverso l’offerta di piani d’investimento mediante sottoscrizione di associazioni in partecipazione agli utili di una società di diritto dominicano, attiva nella produzione e coltivazione di cacao e piante tropicali, con la promessa di ingenti e repentini profitti, era riuscito ad ottenere da una cittadina italiana residente a Roma la cospicua somma di 330.000 euro.
Risparmiatori residenti in tutta Italia, vittime del medesimo disegno criminoso, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, passando per la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria, l’Abruzzo, il Lazio e la Puglia, presentano querele, tutte poi riunite e analizzate dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno che delegava e quindi valutava una complessa e articolata attività di indagine.
Persone “comuni”, di ogni professione ed età, inizialmente convinte di aver realizzato “investimenti” sicuri e redditizi e che, dopo vane e reiterate insistenze tese ad ottenere gli interessi promessi, hanno invece capito non solo di essere capitati in un “circolo vizioso” dal quale difficilmente ne sarebbero uscite, ma, soprattutto, di aver verosimilmente perso ogni speranza per poter rientrare in possesso anche dei soli capitali investiti.
Numerose, tra le vittime, anche diverse persone anziane, come capitato, ad esempio, ad una 78enne di Roma, ad una coppia ultra 70enne di Garbara Novarese (NO), ad una 79enne di Aragona (AG), piuttosto che a quella coppia di 80enni di Orte (VT) che aveva “affidato” ai promoter una cifra di “soli” 5.000 euro, probabilmente il frutto dei risparmi di una vita che ancora erano riusciti a preservare fino a quel momento.
Un fiume di denaro raccolto con spregiudicatezza, buona parte del quale era servito agli stessi organizzatori della colossale truffa per convincere i nuovi investitori attraverso l’ostentazione di strutture societarie impiantate ad hoc nelle migliori zone delle città italiane, dotate di uffici e di arredi di lusso, così come altrettanto prestigiose erano le autovetture con le quali si recavano dai potenziali clienti, elementi tutti costituenti quell’appannaggio di “solidità” e di “affidabilità” degli affari imprenditoriali, necessari per convincere in fretta gli investitori.
Nel complesso dei cinque anni finiti sotto le lenti della Procura della Repubblica e delle Fiamme Gialle, diverse sono risultate le province interessate alla raccolta dei risparmi: Agrigento, Arezzo, Brescia, Bolzano, L’Aquila, Lecce, Ferrara, Frosinone, Novara, Palermo, Pisa, Pordenone, Ragusa, Roma, Terni e Viterbo.
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