L’importante parere di un docente e redattore di Slow Food Editore sulla tutela dell’Oliva Ascolana del Piceno Dop

Pubblichiamo un importante parere di Antonio Attorre, saggista, giornalista, già docente all’Università Politecnica delle Marche e redattore di Slow Food Editore, riguardo alla tutela e valorizzazione dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP.

“Sollecitato a intervenire sulle questioni che in queste ultime settimane hanno interessato un prodotto, ma anche una significativa economia locale e un simbolo culturale del territorio quale l’oliva tenera ascolana, lo faccio volentieri e mi fa particolarmente piacere segnalare e sottolineare come proprio nei prossimi giorni (l’11 e il 12) Ascoli Piceno sarà al centro dell’attenzione del mondo olivicolo e oleario con la presentazione della 25esima edizione della Guida agli extravergini edita da Slow Food, che vedrà la partecipazione dei migliori produttori provenienti dalle varie regioni italiane. Guida nella quale gli oli da Ascolana Tenera hanno da sempre (posso testimoniarlo da coautore della guida fin dalla prima edizione) un ruolo di prima fila grazie alla crescita qualitativa costante di non poche aziende. A questo proposito mi pare vada salutata con soddisfazione l’intesa tra i Consorzi di Tutela e Valorizzazione dell’Oiva Ascolana del Piceno DOP e dell’Olio Extra Vergine di Oliva IGP Marche, in base alla quale olive della varietà Ascolana tenera di dimensioni minori rispetto alla misura necessaria per essere certificate come Oliva Ascolana del Piceno DOP saranno acquistate dai produttori di Olio IGP Marche a un prezzo vantaggioso. Ma per venire alla questione generale di cui si sta discutendo (e rispetto alla quale premetto e preciso di essere libero da ogni eventuale logica di schieramento e di esprimermi a titolo personale e professionale) penso vadano tenuti presenti tre punti sostanziali: 1) Cos’è la banalizzazione di un prodotto?

Nella seconda metà degli anni Novanta con l’innovativa “Tenera Ascoli” (una serie di eventi che favorirono un nuovo turismo culturale nel capoluogo) e con il progetto dei Presidi Slow Food si mise sotto i riflettori questo prodotto che, appunto, era andato banalizzandosi, ovvero stava perdendo identità: in tante città d’Italia e un po’ anche nel mondo si vendevano olive ripiene che spesso e volentieri erano polpettacce senza nessuna parentela con la ricetta o con le ricette originarie picene. Quasi nessuno sapeva che “Tenera Ascolana” era il nome di una varietà specifica di oliva le cui caratteristiche erano congeniali oltre che alla conservazione in salamoia (*) alla ricetta dell’oliva farcita e fritta e alla produzione di un Extravergine di grande personalità. Sottrarre la Tenera Ascolana alla banalizzazione, facendola conoscere nel corso di grandi eventi quali il Salone del gusto, Terra Madre e così via favorì anche il passaggio successivo nella riqualificazione del prodotto, ovvero l’iter necessario al raggiungimento della DOP. 2) Nelle discussioni a cui capita di partecipare o semplicemente di leggere sui giornali in queste settimane mi pare che rischi di prevalere specie tra i non “addetti ai lavori” un equivoco di fondo, e cioè che l’oggetto del contendere sia la ricetta dell’oliva ascolana ripiena ma il senso vero della questione mi sembra un po’ diverso: la DOP, come tutte le DOP del resto, riguarda un prodotto specifico, ben preciso, che in questo caso è l’Oliva Ascolana, e non una ricetta: eccezionalmente, quando fu istituita e approvata questa particolare DOP, fu estesa anche alla ricetta dell’oliva farcita da friggere considerato il valore storico della ricetta stessa, ma al centro della Denominazione resta (e non può che essere così) il prodotto specifico, ossia l’oliva. 3) Ne consegue, se la logica ha qualche valore, che si tornerebbe alla banalizzazione del prodotto azzerandone l’identità e rendendolo anonimo, senza capire oltretutto che la fortuna,il successo di territori al centro dei quali si impone un prodotto- simbolo dalla fisionomia precisa sta nel saper crescere con altri prodotti, con altre tipologie e risorse del territorio che creino massa critica senza snaturare la fisionomia del prodotto attorno al quale si sviluppano: un po’ come avviene con i cerchi concentrici quando si butta un sasso nello stagno, e attorno al primo cerchio se ne sviluppano altri, magari di diversa grandezza e meno centrali ma ugualmente importanti per le economie locali”

Antonio Attorre, saggista, giornalista, già docente all’Università Politecnica delle Marche, redattore di Slow Food Editore.

(*) In una guida delle olive e degli oli (la prima, probabilmente mai scritta in Italia) di fine Ottocento che ho avuto modo di consultare recentemente, redatta e pubblicata dal Ministero dell’Agricoltura di allora, la reputazione delle dell’Ascolana quale oliva da mensa tra le migliori d’Italia era già assodata.

Print Friendly, PDF & Email

Articolo Precedente

L’Assessore Antonini ha partecipato a Vinitaly di Verona al Premio “Angelo Betti” assegnato alle Cantine di Castignano