La crisi non arresta la crescita dell’artigianato piceno. Investimenti e livelli attività in aumento nel 2022, resta la preoccupazione per alcuni settori chiave
Ostacoli burocratici, tensioni geopolitiche, aumenti dei costi energetici e delle materie prime. Le criticità che negli ultimi mesi hanno caratterizzato il mondo delle imprese frenandone il rilancio dopo due anni trascorsi all’insegna dell’emergenza sanitaria restano temi da affrontare al più presto per consentire alle aziende di continuare a rappresentare un valore aggiunto per il Piceno.
Eppure, nonostante le difficoltà, i risultati ottenuti dal tessuto imprenditoriale locale nel corso del 2022 confermano ancora una volta la passione e la determinazione di chi, ogni giorno, continua a fare impresa per il bene del territorio.
Lo dimostrano i dati elaborati dal Centro studi CNA Marche, che fotografando l’andamento tendenziale annuale delle imprese attive nel panorama artigiano provinciale consentono di tirare un parziale sospiro di sollievo sullo stato di salute dell’imprenditoria del Piceno.
Al netto delle generali difficoltà di programmazione a medio e lungo termine, le imprese del Piceno non rinunciano a investire, facendo segnare un aumento percentuale considerevole rispetto al 2021 e sfiorando i livelli di diffusione prepandemici.
Lo scorso anno, infatti, il 18,8% delle aziende della Provincia ha scelto di portare avanti investimenti, a fronte del 10,8% registrato nell’anno precedente e del 20,6% del 2019. Non tutte le imprese, tuttavia, hanno la possibilità di investire con la medesima convinzione: è il caso, ad esempio, del settore manifatturiero, che nel suo complesso fa registrare un 25,4% di imprese coinvolte in investimenti, con una percentuale che però scende al 16,7% per le aziende del sistema moda e al 12,5% per quelle attive nella meccanica.
Nel sistema dei servizi, inoltre, risultano ancora più basse le quote di imprese che hanno fatto investimenti (13%), che crollano del tutto raggiungendo addirittura quota zero per un settore cruciale come quello dei trasporti artigiani.
Segnali positivi arrivano tuttavia dai livelli di attività fatti registrare dalle imprese del Piceno nel 2022, quando le aziende artigiane hanno beneficiato di una congiuntura favorevole ulteriormente evidente nel passaggio tra primo e secondo semestre dell’anno.
In particolare, negli ultimi sei mesi dell’anno la percentuale delle imprese artigiane con attività in aumento (44,1%) è risultata più che doppia rispetto a quelle con attività in calo (20,6%).
La dinamica positiva non sembra però aver coinvolto le imprese artigiane del sistema moda, per le quali si è registrata una forte polarizzazione tra casi di miglioramento (il 33,3%) e di peggioramento (50%). Al contrario, le imprese dei servizi alla persona e della meccanica possono contare su ottime percentuali di casi di crescita dell’attività produttiva: le attività di servizi fanno segnare un 31,8% di casi di aumento dei livelli di attività a fronte di un calo che coinvolge solo il 9,1% delle imprese, mentre il settore della meccanica può contare su un ottimo 41,7% di casi di crescita, che contrasta il 16,7% delle aziende in calo produttivo.
«Numeri del genere evidenziano ancora una volta la capacità del Piceno, terra di artigianato e impresa, di far fronte al meglio alle diverse difficoltà che ad oggi frenano la ripartenza delle attività economiche – afferma Francesco Balloni, direttore della CNA di Ascoli Piceno -. Sulla scia di quanto osservato nel 2022, l’auspicio è che le istituzioni possano continuare a lavorare per consentire alle imprese di esprimersi al meglio, di continuare a investire e di offrire un contributo importante anche in termini di aumento dei livelli di occupazione».
«Non possiamo permetterci di tradire la fiducia che le nostre imprese dimostrano ogni giorno continuando a investire sul territorio – dichiara Arianna Trillini, presidente della CNA di Ascoli Piceno -. Gli eccellenti risultati ottenuti da determinati settori non devono tuttavia far passare in secondo piano le innegabili criticità che ad oggi rischiano di compromettere la tenuta di alcuni comparti chiave della nostra economia. È il caso, ad esempio, del sistema moda, che più di altri sta pagando a caro prezzo l’impatto della guerra, dei continui rincari e della crisi economica».
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