Il porto: tra riconversione e movida, quale futuro?
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Tra riconversione produttiva del comparto pesca con l’itticultura, e aspirazioni alla creazione di un polo di attrazioni per movida e dintorni, quale futuro per il porto di San Benedetto?
Pietro Ricci, dell’associazione Nati in Adriatico, dice la sua, in veste di portavoce dei pescatori.
“La riconversione di cui parla Urbinati è una bellissima proposta: la diversificazione in generale è un bene, sta alla politica dare ai pescatoria possibilità di diversificare. Infatti il Piano del porto ci penalizza: solo nella zona nord gli spazi sono ben distribuiti, c’è da creare strutture nuove e trovare i relativi spazi. C’è la volontà politica di modificare il piano del porto?” . Circa la movida al porto “sono estremamente contrario: delocalizzandola non si risolve il problema, occorre trovare un’altra soluzione. Infatti può essere molto pericoloso perché è un luogo dove c’è acqua , ci sono le banchine, i pescherecci, e portare i giovani al porto alle tre o alle quattro di notte … potrebbe cadere qualcuno in acqua… del resto mettere in sicurezza il porto per la movida non si può, occorrerebbe transennare tutto, e poi il porto fa capo a Ancona. Non è autorizzata l’amministrazione a metterlo in sicurezza. A piedi puoi andare ovunque, occorrerebbe mettere cancelli ovunque: quindi no alla delocalizzazione del problema movida, perché questi fanno casino e si ubriacano .. non è possibile per noi pescatori .. si ricorresse a qualche altra soluzione come la disco che avevamo noi negli anni ‘90”.
L’importanza commerciale del porto è ancora significativa?
“Ci sono diverse anime al porto: la pesca, la nautica e il circolo nautico. L’indotto della pesca ancora però la fa da padrone con 1000 addetti, tra pescatori e indotto: è un’attività produttiva ancora molto forte, anche se i numeri si sono ridimensionati dagli anni novanta. Ma ancora siamo l’ottavo porto nazionale come numero di pescherecci, anche se c’è poco ricambio generazionale quindi il settore è destinato a implodere”.
Riconversione turistica o commerciale?
“Questo dipende dal fattore ricambio generazionale. Occorre far avvicinare i giovani, tra 15 anni i pescatori saranno in pensione, se non arrivano dei ragazzi i numeri si ridimensioneranno in modo ridicolo. L’attività produttiva è debole, deve puntare sui giovani, vista la grande disoccupazione a terra, occorre farli avvicinare alla pesca, farli lavorare: noi siamo alla ricerca di manodopera. È un mestiere duro ma permette di lavorare. Occorre fare come in agricoltura, e serve il supporto della politica che adesso non c’è . Le medicine giuste vanno date dalla politica in base alle richieste degli operatori, l’idea del rilancio di Urbinati va bene, la diversificazione prodotto, la lavorazione di esso, la ristrutturazione del mercato ittico, e tanto altro si potrebbe fare. Occorre ispirarsi a quanto fatto in agricoltura… e non è una questione di fondi. Arriveranno dei fondi europei nel 2021/2027, e i soldi ci sono anche adesso con i Ferp 2014/2020 (35 milioni per il territorio marchigiano), ma serve la voglia della politica di mettersi in campo e lottare per la pesca.
Il problema del dragaggio del porto?
“È un problema che non si risolve ancora, perché è stato affrontato con interventi tampone e non definitivi… riguarda la messa in sicurezza, anche per la cantieristica e il circolo nautico, dal lato turistico. E poi deve essere un dragaggio completo, anche interno per evitare i problemi dei pescherecci più grandi quando si ormeggiano in banchina”.
Infine un appello: “Il porto vive, occorre fare qualcosa affinché si avvicini alla città, vanno bene le idee , ma occorre sedersi intorno al tavolo e decidere che fare per una zona che in passato ha dato tanto e potrebbe tornare. Al di là delle promesse della campagna elettorale, quando Piunti aveva parlato di cambiamenti: in tre anni non si è visto nulla, spero che arriveranno i progetti ma non vedo grandi cambiamenti, e non basta fare finta che tutto vada bene, i pescatori non parlano ma sono stufi”.
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