Calcio, in Italia circa il 60% dei calciatori a rischio povertà dopo il ritiro
Siamo cresciuti nella ferma convinzione che arrivare a fare il calciatore fosse la carriera migliore per sistemarsi economicamente. Chi vi scrive è fermamente convinto che il focus di questo articolo sia facilmente fraintendibile e passibile di demagogia. In dati, però, ci consegnano uno spaccato che ci proietta nella direzione opposta all’immaginario collettivo.
Ieri è stata rilasciata un’intervista da Guglielmo Stendardo (ex calciatore) alla testata giornalistica di “Leggo“.
Nella sua analisi – oggi è avvocato e docente universitario presso la Luiss – emerge un dato lampante: in Europa circa il 40% dei calciatori che si ritira è a “rischio povertà”. La percentuale nostrana, invece, schizza al 60% (in crescita).
L’ex difensore cerca di fornire una lettura a tale situazione: «In Italia il giovane calciatore tende a trascurare l’istruzione e non si preoccupa di studiare e formarsi per il futuro. Quasi sempre, tra i 20 e i 35 anni, pensa a giocare solo al calcio. In più, fino a quando è in attività, tende a seguire un tenore di vita alto che i buoni guadagni gli permettono. Il ridimensionamento, poi, è complicato e iniziano i disastri».
Continua nello sviscerare delle sfaccettature del fenomeno: «È chiaro che non è solo un problema di istruzione e di tenore di vita esagerato – continua Stendardo -; nelle crisi finanziarie di tanti colleghi incidono anche i costi sanitari alti che i calciatori devono sostenere a fine carriera e la scarsa attenzione che mettono verso i problemi del Fisco. La scelta di un commercialista preparato e affidabile è alla base nell’attività del calciatore, sia dei big sia dei tanti atleti di serie B e di Prima divisione. Si tende ad attribuire poca importanza ai problemi fiscali, invece sono fondamentali. Trascurandoli tornano ingigantiti negli anni a venire e diventano micidiali».
Emerge, quindi, una incapacità, in aggiunta, nella scelta degli investimenti da sostenere. Spesso non si affidano ai professionisti, si lasciano persuadere da manager che poco hanno a che fare con investimenti e li mettono in condizione di fallire.
Quale può essere la soluzione a tale criticità?
La chiosa finale ce la fornisce lo stesso Stendardo, provando ad indicare una via per ovviarla:
«Serve rispetto delle regole e onestà nell’affrontare i problemi. Ma, soprattutto, serve una rivoluzione culturale in questo sport – conclude l’ex difensore biancoceleste che oggi si diverte a giocare ancora tra i dilettanti, nel team della Luiss -. Bisogna aiutare i giovani calciatori a studiare, a informarsi, a prepararsi in tempo e adeguatamente per il futuro nel mondo del lavoro. Non è possibile che il 70% dei nostri giocatori abbia la terza media e solo l’1% sia laureato. Inoltre, serve un fondo di accantonamento per almeno 5 anni per dare serenità economica agli ex calciatori che iniziano una nuova attività; serve creare polizze vita che offrano rendite vitalizie per gli atleti. Spero che Figc e Lega vogliano imboccare questa strada, fondamentale per il futuro dei calciatori italiani. E bisogna fare presto, i dati sono già drammatici».
In chiusura, con lo spirito di aggiungere particolari a suffragio di ciò, è stata pubblicata da “Calcio&Finanza.it” un’intervista alla LND per spiegare quanto guadagni oggi un giocatore in Serie D. La Lega precisa che: “Gli accordi concernenti l’erogazione di una somma lorda annuale, non potranno prevedere importi superiori a Euro 30.658,00”.
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