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Ad Ascoli e provincia si rinnova il “rito” della Pasquella
Come ogni anno ad Ascoli e provincia il 5 gennaio si rinnova il “rito” della Pasquella, una questua che rimanda a tempi antichi, quando la povertà e la fame la facevano da padrone soprattutto nelle campagne e nelle zone rurali. Si cantava casa per casa per avere qualcosa da mangiare o da bere: un uovo, un pezzetto di salciccia o di formaggio, un bicchiere di vino. Erano tempi duri e molte persone vivevano in gravi difficoltà.
Col passare del tempo le usanze sono rimaste e i questuanti, armati di organetto, fisarmonica o chitarra, continuano a percorrere festanti le vie e le contrade dei paesi e del capoluogo con i caratteristici canti della tradizione.
La Pasquella, come altri canti di questua, (ad es. il Sant’Antonio o il Cantamaggio) segue un “ordine” ben preciso. Al cospetto della padrona di casa (vergara) inizia il canto con la parte religiosa: “… Su lu ciele ce sta ‘na stella che reschiara la Capannella lo’ dov’è nate lu Sante Messia. Bona Pasqua e Befania! … ”.
Segue la richiesta di cibo: “Se ce da ‘mbuò de pa’ e saggiccia lu magneme tutt’a la spiccia perché sendeme strillà li vedella: l’Anne nuove e la Pasquella!” oppure di vino: “Se de vì ce da ‘nu becchiere lu beveme e chen piacere, a la salute de la chembagnia: Bona Pasqua e Befania!”.
Ora, se la padrona di casa è gentile e ospitale ed offre qualcosa ai pasquellanti, essi per riconoscenza cantano altri canti e per concludere suonano e ballano un bel Saltarello di commiato; ma se non ricevono nulla, allora intonano lo “spergiuro” gneriusce: “Tande chiuove ‘nchessa porta, tande diavele te se porta! Tande chiuove lla ssu mure tande ciecure lla lu cule! Tande ceppe che ‘na fascina, tande diavele te se trascina!”.
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